V’HO PREPARATO UN SOGNO

NON SI PUO’ ESSERE COSTRETTI AD AMARE CHI, NON AVENDO MOTIVO DI AMARCI, NON LO FA  A SUA VOLTA: L’AMORE E’ L’UNICA  ATTIVITA’  UMANA TOTALMENTE SPONTANEA ED INCOERCIBILE.

Non c‘è più amore attorno a noi. E tale latitanza empatica e affettiva rappresenta il primo disgregante di qualsiasi tessuto sociale costituitosi in una famiglia, in un gruppo, in un popolo.

Qualche mese fà eravamo in toscana, in visita al meraviglioso eremo di Monte Senario, presso Fiesole, e all’ora di pranzo nulla c’ha attirato più di due belle fettone di pane sciapo toscano con la finocchiona in mezzo ed un buon bicchiere di vino accanto.
La vecchina dell’alimentari (assolutamente identitario come solo nei piccoli centri si può ancora sperar di trovare) che c’ha preparato l’agognata leccornia, dopo avercela amorevolmente avvolta nella carta scrocchiantina tipica dei panini d’un tempo, ci dice porgendocela: “ecco, ragazzi, v’ho preparato un sogno!”. E facendolo le si inumidiscono gl’occhi poiché era una frase che le diceva sua nonna quando, a sua volta, le preparava il panino con la finocchiona, ci racconta, sorridendoci come farebbe a dei nipoti, stavolta i suoi.
E così i lucciconi li ha fatti venire anche a noi, dal momento che quella dolcezza, naturale e del tutto gratuita, possedeva un che di assolutamente familiare, nonostante fosse la prima volta che incrociavamo tale essere umano sul nostro cammino, e, chissà, magari sarebbe rimasta anche l’ultima.

Amici, come non aver memoria di tali attimi se non come di una piccola, eterna storia d’amore?!
Già, perché quanto amore ha riposto quella vecchina in quel semplice gesto, al di là dei pochi euro che le è giovato!? Eppure si trattava dello stesso identico gesto, dello stesso preciso “servizio” tecnicamente resoci dall’anonima e ciancicante commessa d’un Mc Donald’s, o dal “sorridente” cinese che ci serve la sua cartocciata di cancerogeno glutammato monosodico, o da un kebabbaro dei tanti con le mani ancora unte del gocciolante fagotto di mondezza che c’ha appena rifilato: tutti figuri che non potrebbero mai vederci come loro nipoti, dal momento che non siamo neanche loro conterranei. Siamo semmai gli ostacoli ancora vegeti e resistenti ad un loro definitivo accasamento a casa nostra.

Non c’è più amore negli occhi di chi ci circonda: le nostre strade brulicano di sguardi del tutto anaffettivi, incomunicanti, empaticamente inerti nel migliore dei casi, ringhiosi nel peggiore e più comune degli stessi. Gente che si scaracolla per riuscire a soffiarci il posto in autobus col cellulare ancora appiccicato all‘orecchio, considerandoci né col rispetto del turista, né con l’amore del coscritto, ma quasi col piglio di sfida di chi deve fregarti, batterti, arrivare prima, spodestarti anzitempo che tu ti renda conto delle sue reali intenzioni qui.
Gente, insomma, con cui resta ben poco da spartire che non sia un nefasto spirito di concorrenzialità fisica, economica, lavorativa, abitativa. Se un estraneo mettesse le tende nel nostro giardino, potremmo mandarlo via; qual è la differenza se ciò avviene, clandestinamente, su quel pubblico demanio per l’ottimale gestione del quale paghiamo le tasse?!
E al minimo cenno di opposizione al sopruso, allo spintone, alla strafottenza anche fisica, l’epiteto scatta immediato: “razzista!“, perverso meccanismo psicoricattatorio col quale gli invasori sono riusciti a mettere in ginocchio l’Europa con le stesse sue leggi, con quello stesso suo progresso sociale ed emancipazione civica per i quali gli europei hanno versato lacrime e sangue.

Chi può negare quanto affermiamo?! Nessuno, poiché ci limitiamo a raccontare come ogni giorno viviamo – e male – in un paese assediato, globalizzato e impoverito. La nostra è quella che in diritto viene definita una “libera dichiarazione di scienza“, legittima e sacrosanta in democrazia, una libera testimonianza d’un’esistenza da cittadini medi italiani che lavorano tutto il giorno, pagano le tasse come sempre, ma vedono il proprio paese peggiorare, sfinirsi di degrado, decadere sotto il peso di una globalizzazione mai votata, mai richiesta, mai accettata. E alla quale, democraticamente, ci opponiamo con tutte le nostre forze.
E’ una tragedia di dominio pubblico, costantemente sulla bocca di tutti, (tranne che su quella degli ipocriti), tuttavia c’è quasi pudore a parlarne. Eppure non dovrebb’esserci alcun pudore a chiamare la polizia assistendo al compimento d’un reato, e varcare dei confini nazionali senza i titoli di permanenza eccome se è un reato; ma un reato talmente generalizzato da rischiare un mediocre affrancamento, se si continuerà a far finta di nulla.

Un tempo, gli anziani ci facevano le carezze sui capelli alla fermata del bus, al parco, fuori a scuola, mentre attendevano l’uscita di quei loro nipoti che erano i nostri compagnucci; ci aspettavamo sempre un buffetto sotto il mento da chiunque di loro, e Noi eravamo sempre pronti ad aiutare quei “nonni di tutta la comunità” ad attraversare la strada, a portare delle sacche pesanti, a fare loro il biglietto per il tram.
Il negoziante di quartiere ci regalava sempre un pezzetto di pizza calda appena sfornata la mattina, sorridendoci e chiamandoci per nome. Certo, qui nessuno va dicendo che allora l’Italia fosse il paese dei balocchi, c’erano le rapine, gli scippi, il terrorismo nostrano; ma erano eccezioni fisiologiche e stigmatizzate a dovere inquanto tali, come si conviene in una sana società civile.
Oggi dei balocchi non c‘è più neanche l‘ombra, e anche di quel “bel paese“ rimane ben poca cosa: chi ci dà più il buffetto sotto il mento fuori dalle mura di casa? Quale negoziante ci regala più il pezzo di pizza calda (ammesso di trovare ancora la “pizza“, quella vera..)? Chi ci sorride più, estranei fra estranei come siam diventati? Quali ragazzotti globalizzati e rincoglioniti da mp3 e palmari palmati aiutano ad attraversare la strada gente di cui capiscono a malapena la lingua? Pagando, certo; venendo a fare i/le badanti a tradimento per concupire, spompinare qualche anziano alzheimerizzato beccandosene poi l’eredità, sicuro. Ma un tempo non era così; eppure le esigenze e le problematiche umane e familiari restan da sempre quelle di sempre. E allora, come non domandarsi da dove sia saltata fuori l’assurda esigenza di tutti questi orrendi mercenari?!
L’amore non s’è mai potuto comprare, come insegnano i suoi più grandi cantori universali: l’amore o c’è o non c’è, non lo si può costringere ad esserci.

Il clima che si respira, infondo, sarebbe un clima normale fra “stranieri“, ma risulta atroce fra conviventi forzati: diffidenza, senso di smarrimento, sfiducia, paura: chi può imporci di avere percezioni diverse da quelle che abbiamo?! Quali leggi di merda possono obbligarci a sorridere a chi prima o poi vorrà farci la festa del tutto?! Nessuno pretenderebbe di abolire la legalità in uno stato, tale è la sfiducia atavica del plautino “homo homini lupus” fra i consociati, figurarsi se potremmo mai abbassare la guardia verso degli occupanti irregolari e allogeni.

E al di là del conforto scientifico di insigni economisti (Benettazzo, tanto per fare un nome) sull’argomento, ma anche a senso, come si può pensare che la grande crisi economica dell’Occidente non derivi da milioni di persone che arbitrariamente, improvvisamente ed irregolarmente si sono riversati sul medesimo territorio e sulle medesime risorse dei nobili popoli che lo abitavan da sempre, senza contraccambiarli con nulla se non con criminalità e sottocosto?! Stili di vita e livelli di civilizzazione incompatibili sopportati per conto di un relativismo culturale solo subìto a casa nostra in nome dell’”accoglienza” e mai imposto a casa d‘altri, sennò chiamasi “colonialismo“!!

A  chi è giovato tutto sto gran casino!? A noi no davvero.

Noi rivogliamo l’amore; all’amore, per esserci, occorre similarità, affinità, identità. Pensino quello che vogliono: noi rivogliamo semplicemente ciò che avevamo e che ci è stato tolto. E finché non ci sarà restituito continueremo a sognarlo.

HELMUT LEFTBUSTER

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