L’INELUTTABILITA’ DI UN’INVASIONE NON PUO’ ESSERE VALIDO TITOLO DI RESA – crestomazia dvracrvxiana –

(Tucidide, Guerra del Peloponneso, dialogo fra Melii e Ateniesi v. 86-105)Tucidide

Fra i grandi iniziatori della storiografia d’ogni tempo, Tucidide, letterato e militare ateniese vissuto e operante in piena epoca periclea, ci regala questo spaccato di logicità storica, filosofica ed antropologica che resterà un punto di riferimento miliare per quanti verranno in seguito, dal giusnaturalista Hobbes, allo stesso Nietzsche, che lo definirà “terribile dialogo”.  

Accadeva nel momento di massimo splendore imperiale ateniese, che la piccola isola di Melo, rimasta neutrale nella guerra contro i Persiani, a giochi fatti, venisse puntata da Atene per esserne conquistata, in parte per punirla di tale neutralità, ma soprattutto per la sua evidente impossibilità a difendersi.

Gli Ateniesi inviano sull’isola un’ambasceria incaricata di convincere i Melii (o Meli) ad arrendersi con le buone, data l’evidente sproporzione delle forze in campo; questi ultimi decidono di ricevere tale delegazione non in piazza, come gli Ateniesi avrebbero auspicato per incutere soggezione agli isolani, ma a porte chiuse e all’interno d’un ristretto consesso di magistrati cittadini che potessero, appartati dall’emotività del popolo mèlo, gestire più tecnicamente la delicata questione diplomatica.

Tucidide ci tramanda l’ipotetico dialogo della partita a scacchi giocata fra le due delegazioni: un prezioso documento dal quale evincere i basilari equilibri di un rapporto di forze impari. Quali argomenti può contrapporre, infatti, una formica all’elefante che la sta schiacciando? Pochi, ma saldi: il timore della punizione divina verso l‘ingiustizia, il “chi la fa l’aspetti”, la logica sacralità dell’unico titolare d’una giustezza d‘azione, l’eroismo di chi difende il proprio territorio, l’orgoglio della propria stirpe.

Ora, gli argomenti a propria volta contrapposti dagli invasori a tale tentativo di difesa diplomatica non saranno altro che quelli tipici della prepotenza di chi, al momento della circostanza, è il più forte: perché mai costui dovrebbe rinunciare alla concretezza di una vittoria certa e attuale, sulla base di incerti e futuri presagi infausti scaturenti dall’ingiustezza della propria invasione?
Infine, ribatteranno a loro volta gli invasi: a che cosa gioverebbe rinunciare a difendersi da un invasore, se non a favorirne la nefasta azione, che in ogni caso sarebbe calare il proprio tallone?

grecia

86. MELII: “…noi vediamo, infatti, che siete venuti in veste di giudici di ciò che si dirà e che, alla conclusione, questo colloquio porterà a noi la guerra se com’è naturale, forti del nostro diritto, non cederemo; se invece accetteremo, avremo la schiavitù”.

89: ATENIESI : “…poiché voi sapete tanto bene quanto noi che, nei
ragionamenti umani, si tiene conto della giustizia quando la necessità incombe con pari forze su ambo le parti; in caso diverso, i più forti esercitano il loro potere e i piú deboli vi si adattano”.

92. MELII: “E come potremmo avere lo stesso interesse noi a divenire schiavi e voi ad essere padroni?”.

93. ATENIESI: “Poiché voi avrete interesse a fare atto di sottomissione prima di subire i più gravi malanni e noi avremo
il nostro guadagno a non distruggervi completamente”.

98. MELII: “E con l’altra politica, non pensate di provvedere alla vostra sicurezza? Poiché voi, distogliendoci dal fare appello alla giustizia, ci volete indurre a servire alla vostra utilità, bisogna pure che noi, qui, a nostra volta, cerchiamo di persuadervi, dimostrando qual è il nostro interesse e se per caso non venga esso a coincidere anche con il vostro. Or dunque tutti quelli che ora sono neutrali non ve li renderete nemici, quando, osservando questo vostro modo di agire, si faranno la convinzione che un giorno voi andrete anche contro di loro? E in questo modo, che altro farete voi se non accrescere i nemici che già avete e trascinare al loro fianco, pur contro voglia, coloro che fino ad ora non ne avevano avuto nemmeno l’intenzione?”.

99. ATENIESI: “No, perché non riteniamo per noi pericolosi quei popoli che abitano sul continente e che, per la libertà che godono, ci vorrà del tempo prima che facciano a noi il viso dell’armi; sono piuttosto gli abitanti delle isole che ci fanno paura; quelli che, qua e là, come voi, non sono sottomessi ad alcuno; e quelli che mal si rassegnano ormai ad una dominazione imposta dalla necessità. Costoro, infatti, molto spesso affidandosi ad inconsulte speranze, possono trascinare se stessi in manifesti pericoli e noi con loro”.

100. MELII: “Ordunque, se voi affrontate cosi gravi rischi per non perdere il vostro predominio e quelli che ormai sono vostri schiavi tanti ne affrontano per liberarsi di voi, non sarebbe una grande viltà e vergogna per noi, che siamo ancora liberi, se non tentassimo ogni via per evitare la schiavitù?”.

101. ATENIESI:  “No; almeno se voi deliberate con prudenza: poiché questa non è una gara di valore tra voi e noi, a condizione di parità, per evitare il disonore; ma si tratta, piuttosto, della vostra salvezza, perché non abbiate ad affrontare avversari che sono di voi molto più potenti”.

102. MELII: “Ma sappiamo pure che le vicende della guerra prendono talvolta degli sviluppi più semplici che non lascino prevedere la sproporzione di forze fra le due parti. Ad ogni modo, per noi cedere subito significa dire addio a ogni speranza: se, invece, ci affìdiamo all’azione, possiamo ancora sperare che la nostra resistenza abbia successo”.

103. ATENIESI: “La speranza, che tanto conforta nel pericolo, a chi le affida solo il superfluo porterà magari danno, ma non completa rovina. Ma quelli che a un tratto di dado affidano tutto ciò che hanno (poiché la speranza è, per natura, prodiga) ne riconoscono la vanità solo quando il disastro è avvenuto; e, scoperto che sia il suo gioco, non resta più alcun mezzo per potersene guardare in futuro. Perciò, voi che non siete forti e avete una sola carta da giocare, non vogliate cadere in questo errore. Non fate anche voi come i più che, men-tre potrebbero ancora salvarsi con mezzi umani, abbandonati sotto il peso del male i motivi naturali e concreti di sperare, fondano la loro fiducia su ragioni oscure: predizioni, vaticini, e altre cose del genere, che incoraggiano a sperare, ma poi traggono alla rovina”.

104. MELII: “Anche noi (e potete ben crederlo) consideriamo molto difficile cimentarci con la potenza vostra e contro la sorte, se non sarà ad entrambi ugualmente amica. Tuttavia abbiamo ferma fiducia che, per quanto riguarda la fortuna che procede dagli dèi, non dovremmo avere la peggio, perché, fedeli alla legge divina, insorgiamo in armi contro l’ingiusto sopruso; quanto al- l’inferiorità delle nostre forze, ci assisterà l’alleanza di Sparta, che sarà indotta a portarci aiuto, se non altro, per il vincolo dell’origine comune e per il sentimento d’onore. Non è, dunque, al tutto priva di ragione la nostra audacia”.

105. ATENIESI: “Se è per la benevolenza degli dèi, neppure noi abbiamo paura di essere da essi trascurati; poiché nulla noi pretendiamo, nulla facciamo che non s’accordi con quello che degli dèi pensano gli uomini e che gli uomini stessi pretendono per sé. Gli dèi, infatti, secondo il concetto che ne abbiamo, e gli uomini, come chiaramente si vede, tendono sempre, per necessità di natura, a dominare ovunque prevalgano per forze. Questa legge non l’abbiamo istituita noi, non siamo nemmeno stati i primi ad applicarla; così, come l’abbiamo ricevuta e come la lasceremo ai tempi futuri e per sempre, ce ne serviamo, convinti che anche voi, come gli altri, se aveste la nostra potenza, fareste altrettanto. Da parte degli dèi, dunque, com’è naturale, non temiamo di essere in posizione di inferiorità rispetto a voi. Per quel che riguarda l’opinione che avete degli Spartani, e sulla quale basate la vostra fiducia che essi accorreranno in vostro aiuto per non tradire l’onore, noi ci complimentiamo per la vostra ingenuità, ma non possiamo invidiare la vostra stoltezza. Gli Spartani, infatti, quando si tratta di propri interessi e delle patrie istituzioni, sono più che mai seguaci della virtù; ma sui loro rapporti con gli altri popoli, molto ci sarebbe da dire: per riassumere in breve, si può con molta verità dichiarare che essi, più sfacciatamente di tutti i popoli che conosciamo, considerano virtù ciò che piace a loro e giustizia ciò che loro è utile: un tal modo di pensare, dunque, non s’accorda con la vostra stolta speranza di salvezza.”

La delegazione ateniese, alla fine, comprovando l’inefficacia di ogni tentativo di convincimento sulla fierezza e sulla logica delle argomentazioni degli avversari, si ritirerà, scatenando la furia del proprio esercito sull’isola, e conquistandola.

CONCLUSIONE: “…Questi passarono per le armi tutti gli adulti caduti nelle loro mani e resero schiavi i fanciulli e le donne: quindi occuparono essi stessi l’isola e più tardi vi mandarono 500 coloni.”

http://ebookbrowse.com/gdoc.php?id=75614250&url=4d32d21ab391949ed1af8102f85f8ab1

(trovate a questo e ad altri link il dialogo Tucidide integrale relativo alla vicenda storica in esame)

Un documento eccelso, dunque: La Storia vista non solo come scienza del passato, ma anche come scienza dell’avvenire attraverso un’ analisi di equilibri umani e identitari che mai potranno cambiare nel tempo poiché antropologicamente congeniti alle dinamiche dell‘Uomo.

Bisognerà aspettare Roma perché lo Ius inteso come “animus“ si faccia strada ad elevarsi spiritualmente, sovraordinandovisi, all‘istinto materiale dell‘”homo animalis“ per cui “il più forte“ è colui che ha più muscoli, e non colui che ha più titolo spirituale-tradizionale ad imporre la propria “auctoritas“.

Morale “dvracrvxiana” della favola (che favola non è): vale sempre la pena difendersi quando si è nel giusto; e chi difende casa propria è sempre nel giusto rispetto a chi gliela sta occupando, sottraendo o demolendo, a prescindere da chi derivino tali ingiustizie e quantunque forti e numerosi ne siano i prepotenti attori.
E a nulla debbono valere gli argomenti di seducente tenore “avventista” come quello usato da chi sostiene che “integrando” l’invasore, costui sarà più generoso e rabbonito: poiché l’invasore non sarà mai pietoso verso l’invaso, tantomeno se quest’ultimo si mostrerà arrendevole agl‘occhi del primo.

Tucidide c’insegna che i popoli si sono sempre difesi, persino da quelli più simili ad essi (si trattava di Ateniesi, infondo, greci come gli stessi Melii, non di Persiani), pur di mantenere la propria identità, e persino in casi estremi come la vicenda narrata.

E, col senno di poi, dal nostro scranno di posteri di quei clamorosi eventi, rilanciamo a quegli Ateniesi che sbeffeggiarono l’appello dei Melii all’ipotesi d’una futura punizione divina per colui che oggi è il forte della situazione, ma domani potrebbe non esserlo più: avete visto, Ateniesi? Di lì a poco i Romani v’avrebbero rotto il culo! Forse valeva la pena essere più pietosi con i Melii…

HELMUT LEFTBUSTER – crestomazia dvracrvxiana –

Marmoreo d'Occidente DCC

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