“FRATELLI” NON FRATELLI

Quando l’Italia era rurale, qualsiasi regista, di destra o di sinistra che fosse, si chiamasse Comencini, Bertolucci, o Pasolini, non poteva non restare aderente alla realtà circostante nel descriverla; ad esempio, non poteva alterare il linguaggio del popolo, né modificare più di tanto le coreografie del suo vivere quotidiano. Anzi, per far parlare le proprie opere, un bravo autore cinematografico doveva addirittura copiare dal volgo, riprenderne i costumi, ridoppiarne le gergalità, ricostruirne il contesto ambientale a menadito.

Ed ecco che oggi, purtroppo, quando a dominare gli schermi non vi sono i più i paciosi volti rubizzi del “Pinocchio” di Manfredi e della Lollobrigida, ma i feroci protagonisti dei violenti sobborghi newyorkesi ove tutti, fra una revolverata, una rissa e uno stupro, si chiamano “bro” , “fratello”, e si danno il “5” (una formula di saluto condiviso ben meno nobile, estetica, ed igienica del tanto vituperato “saluto romano”), come si può pensare che ciò non distorca il sentire comune circa il significato lessicale, logico, etimologico, e giuridico del termine “fratello”, al di fuori del contesto in cui il film è ambientato?!

Anzitutto è singolare come siano solo gli afroamericani ad usare ostentatamente, e spesso unidirezionalmente, tale termine anche all’indirizzo di sconosciuti: come mai non fanno altrettanto i finlandesi o i giapponesi, o gli uzbechi? Forse che chi ama il Proprio ha meno desiderio di condividerlo, mentre chi non è altrettanto gratificato dal suo senso d’appartenenza è ben più prono a spartirsi “fratellanza a basso costo”?!

Ma come si può pretendere d’esser “fratelli” di qualcuno senza chiedere all’altro se è d’accordo? Suona quasi una pretesa di familiarità degna dei peggiori espropri proletari!

Si vedano per l’appunto quei tizi che vendono calzini in strada e ci vengono incontro a mani aperte come dei propagatori di allergia allo scontrino fiscale, imponendoci un contatto fisico mai richiesto (e quindi violentemente estorto) al grido dell’universale “hey, fratello!”: ma fratello di chi?!

Ebbene, per vederci chiaro, atteniamoci ai fatti e alla certezza del Diritto: la latinitas e lo Ius romano, quindi lingua e legge dei quali tuttora godiamo l’antica fertilità, si basano su granitica logica, non su perverse credenze etiche di bassa lega, su ipocrisie radical-chic o su correttezze politiche costruite nei laboratori sociologici mondialisti.

Chiunque stia leggendo queste righe può prendere una grammatica italiana o un codice di diritto civile e verificare se alla voce “fratello” sia descritto alcun altro soggetto che non quello figlio degli stessi genitori.

La stessa fratellanza “in Cristo”, distorta – a nostro avviso – dall’interpretazione della Chiesa post-conciliare, colloca in un regime di comunanza ideale e, appunto, ecclesiale, i soli figli del Dio cristiano in piena consecutio filosofica col concetto di fratellanza fra le divinità antropomorfe dell’Olimpo, accomunate dalla sola paternità di Giove; ove il “di Giove” va inteso come complemento di limitazione e non di specificazione. In altre parole, chi non è figlio di Giove, non può appartenere all’Olimpo.

Parimenti, l’espressione evangelica “fratelli in Cristo” vede nella locuzione “in Cristo” lo stesso complemento di limitazione volto, stavolta su scala umana e non divina, a specificare che non tutti gli esseri umani sono fratelli tra loro, ma solo quelli, appunto, “in Cristo”.

Questa è analisi logica, signori, non opinioni personali.

Tale discrimen ha lasciato precise tracce filologiche, ad esempio, nelle lingue che dispongono di meno vocaboli rispetto alla nostra: basti pensare che in inglese, non esistendo il sostantivo “cognato”, usano “brother in law”, fratello secondo la legge, proprio a sottolineare il diverso tenore affettivo di un parente acquisito attraverso il matrimonio, rispetto a quello basato su una consanguineità biologica.

Quindi il concetto di fratellanza universale non solo è un controsenso logico e semantico (esser fratelli di tutti significherebbe contraddire il concetto stesso di fratellanza intesa come esser consanguinei di Tizio in contrappunto al non esserlo di Caio e Sempronio), ma in ogni caso si sfalderebbe contro quel precetto evangelico del Redde Caesari che ripone ogni lagnosa retorica cattocomunista sotto l’imperativo raziocinante della Legge secolare; legge per la quale i fratelli sono solo – e solamente – quelli di sangue.

FRATELLI NON FRATELLI

HELMUT LEFTBUSTER

 

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